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«Insieme alle terapie e alle tecniche più avanzate per il corpo, offrite a quanti si rivolgono con fiducia alle vostre strutture le medicine dell’anima, cioè la consolazione e la tenerezza di Dio. Questo significa per voi combattere con coraggio le cause della sofferenza e curare con amore il disagio delle persone in difficoltà». Le parole di Francesco alla Fondazione Don Gnocchi sono ricordi indelebili che affiorano oggi con dolcezza e commozione dai cuori di quanti – tra operatori, ospiti e pazienti dei Centri, familiari, volontari e amici – hanno partecipato agli incontri fortemente voluti dal Papa degli ultimi e dei più fragili.
A partire dalla tenera carezza ai malati, disabili e sofferenti nella Messa “in coena Domini” al Centro “S. Maria della Provvidenza” di Roma, con la lavanda dei piedi a dodici assistiti della Fondazione Don Gnocchi, nella ricorrenza del Giovedì Santo 2014. Papa Francesco li aveva abbracciati e incoraggiati uno per uno. Per ciascuno una parola di affetto, una carezza, un invito alla fiducia e alla speranza. Dalla chiesa del Centro, gremita di storie di sofferenza e calvari personali, un Papa già affaticato ma sorridente aveva spalmato olio d'amore sugli ingranaggi spesso inceppati di una società incapace di marciare al ritmo di marcia degli ultimi. Quel gesto di un Pontefice capace di chinarsi con fatica dodici volte per baciare i piedi di persone che il beato don Gnocchi considerava vere e proprie “reliquie, meritevoli di venerazione e di culto”, fu l'immagine più bella e il messaggio più prezioso affidato a quanti lavorano ogni giorno per la costruzione di una autentica civiltà dell’amore.
Papa Francesco celebra la Messa "in coena domini" al Centro "Don Gnocchi" di Roma, nel Giovedì Santo 2014, con la lavanda dei piedi a 12 assistiti nei Centri della Fondazione
C’era Osvaldinho, allora sedicenne, il più giovane, originario di Capo Verde, gli arti paralizzati dopo un disastroso tuffo in mare; Orietta, cinquantenne romana, 51 anni, vittima di encefalite dopo essere stata colpita dal vaiolo da bambina; Samuele, 66 anni, la poliomielite compagna di vita e l’assistenza fin da ragazzo nell’Opera di don Gnocchi; Marco, giovane animatore parrocchiale, in riabilitazione dopo una serie di interventi a causa di una neoplasia cerebrale; Angelica, 86 anni, una vita da contadina, rimessa in piedi dopo una serie di cadute e fratture varie agli arti; Daria, 39 anni, affetta da tetraparesi spastica; Pietro, 86 anni, in riabilitazione per deficit dell’equilibrio e della deambulazione; Gianluca, 36 anni, in Fondazione dopo vari interventi per meningiomi; Stefano, 49 anni, affetto da oligofrenia grave e spasticità in esiti di cerebropatia neonatale; Giordana, 27 anni, originaria dell’Eritrea, affetta da tetraparesi spastica in seguito a paralisi cerebrale infantile; Walter, 59 anni, con sindrome di down e Hamed, 75 anni, libico, con gravi danni neurologici dopo un incidente stradale. «Quello di Francesco – nelle parole di quest’ultimo, di religione musulmana, quasi il senso di un intero pontificato – è stato un gesto di fratellanza e pace. Un invito ad amare tutti, contro ogni divisione».
Straordinaria fu anche l’udienza speciale che Papa Francesco volle concedere alla Fondazione il 31 ottobre 2019, nel decennale della beatificazione di don Gnocchi. Seimila pellegrini - tra responsabili, medici, operatori, volontari, pazienti e loro familiari, ex allievi, alpini, rappresentanti dell'Aido e amici – raggiunsero l’aula Paolo VI in Vaticano Roma su due treni speciali da Milano, sei treni di linea provenienti da Torino, Brescia, Firenze e oltre 20 bus attrezzati.
«Nel suo testamento don Carlo ha affidato ai collaboratori la sua Opera, usando un’espressione milanese carica di affetto: "Ve raccomandi la mia baracca". A distanza di tempo – furono le parole di saluto del presidente, don Vincenzo Barbante - siamo consapevoli che la stagione del bene non è mai finita e anche oggi ci interpella. Il bene è possibile per tutti e richiede la stessa fede, fantasia e rigore del nostro Beato don Carlo, per essere "accanto alla vita sempre”».
Due immagini dell'udienza speciale concessa da Papa Francesco alla Fondazione il 31 ottobre 2019
«Il senso e il valore della professione sanitaria e di ogni servizio reso al fratello infermo – fu il messaggio del Pontefice - si manifestano pienamente nella capacità di coniugare competenza e compassione, ambedue insieme. Una società che non è capace di accogliere, tutelare e dare speranza ai sofferenti è una società che ha perso la pietà, che ha perso il senso di umanità. La vasta rete di Centri e servizi che avete realizzato in Italia e in altri Paesi rappresenta un buon modello, perché cerca di unire assistenza, accoglienza e carità evangelica. In un contesto sociale che favorisce l’efficienza rispetto alla solidarietà, le vostre strutture sono invece case di speranza, il cui scopo è la protezione, la valorizzazione e il vero bene degli ammalati, dei portatori di handicap, degli anziani. Cari amici, rinnovo il mio apprezzamento per il servizio che rendete a quanti si trovano in difficoltà. Vi incoraggio a proseguire il vostro cammino nell’impegno di promozione umana, che costituisce anche un contributo indispensabile alla missione evangelizzatrice della Chiesa».
Un invito a continuare il servizio “accanto alla vita” che oggi, nei giorni tristi del saluto terreno a un Papa che la Fondazione ha sempre sentito vicino, ha il significato di una promessa e il valore di un impegno.
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