Intensa esperienza di volontariato d’impresa di un gruppo... (Leggi tutto)
Ci sono parole che non si dimenticano. Parole semplici e vere, che arrivano da persone fragili, stanche, smarrite. Parole che – proprio perché spesso nate in situazione di precarietà e malattia – hanno la forza di illuminare come una lanterna nel buio. Con un unico filo che le unisce: la cura che diventa speranza.
«Sono stata accolta al Centro “S. Maria della Pace” di Roma come un angelo con un’ala spezzata. E con la netta convinzione che non avrei più volato…». Così inizia la lettera di Stefania, ricoverata per una riabilitazione complessa dopo un intervento agli arti, affrontata in un momento della vita segnato anche dalla malattia e poi dalla perdita improvvisa della madre. Eppure, proprio nei giorni più difficili, Stefania racconta di aver trovato un’umanità che non si aspettava: «Qui ho trovato tanti “angeli” disposti ogni giorno a prestarmi un’ala perché io tornassi a camminare». Il personale di riabilitazione, gli infermieri, gli operatori sociosanitari, i medici e le suore hanno rappresentato per lei una comunità capace di cura e di delicatezza: «Hanno rispettato il mio dolore, la mia persona, la mia storia. Con gentilezza, con premura, con una signorilità rara».

Persino in quella notte di lutto, di solitudine, di smarrimento, quando due operatrici della struttura sono rimaste accanto a lei senza lasciarla sola, arrivando perfino a condividere la loro cena “come si condivide la vita”: «Mi hanno fatta sorridere quando non pensavo fosse più possibile. Hanno apparecchiato il loro piccolo tavolo e hanno fatto posto anche a me. Non dimenticherò mai quello che hanno fatto. Oggi lascio il Centro con un bagaglio d’amore che diffonderò fuori di qui. E mi fate sperare che l’umanità, quella che fuori spesso non vede il dolore, possa così diventare migliore».
Il percorso di Ambra, una bambina con una rara malattia genetica, è fatto invece di passi minuscoli e conquiste immense. Quando è arrivata al reparto di riabilitazione pediatrica del Centro IRCCS “Don Gnocchi” di Firenze si alimentava solo tramite sondino nasogastrico e non aveva mai mangiato per bocca. I genitori ricordano lo scoraggiamento di quei giorni: «Molte altre strutture non avevano investito tempo su nostra figlia. Ci ripetevano quanto fosse difficile per lei coordinare respiro, masticazione e deglutizione… e ci siamo sentiti demoralizzati».

Poi, l’incontro con i fisioterapisti “Don Gnocchi” («…persone e professionisti davvero eccezionali») e soprattutto con la logopedista che ha seguito Ambra: «La differenza è stata la fiducia. Lei ha guardato nostra figlia con ottimismo, ha sempre detto che aveva solo bisogno di tempo per imparare ed esplorare. Ha dato fiducia a lei e ha dato fiducia a noi».
E il piccolo miracolo è arrivato: «Qualche settimana dopo nostra figlia ha tolto il sondino. E ora mangia. E da qualche giorno ha persino scoperto che le penne sono davvero buone!».
Il loro grazie è un abbraccio che scalda il Natale: «La professionalità è la base del vostro lavoro, ma l’umanità è ciò che vi distingue. Grazie per aver seguito nostra figlia come fosse anche un po’ vostra».
La voce di Dolores, paziente al Polo riabilitativo “Don Gnocchi” di Sant’Angelo dei Lombardi, arriva infine dalla montagna, dall’aria tersa e dai silenzi dell’alta Irpinia. Una voce che diventa poesia, preghiera, canto.
«Nelle montagne dell’alta Irpinia, dove l’aria è pura e il cielo è azzurro, c’è una struttura che sembra sospesa nel tempo. Un luogo di pace dove il tempo si ferma e l’anima si rinnova».
Così descrive il Centro della Fondazione Don Gnocchi, dove la riabilitazione non è stata per lei soltanto un percorso clinico, ma un’esperienza di rinascita: «Per me è stato un luogo di speranza. Qui la mia vita ha ripreso il suo cammino, i sogni sono tornati a diventare realtà e il futuro è diventato con fede e determinazione un percorso ancora possibile».

Parla del team che l’ha seguita come di una comunità solida, appassionata, presente: «Medici, infermieri, operatori e fisioterapisti lavorano in sinergia, con dedizione e amore. Ti sostengono quando sei fragile, ti accompagnano quando hai paura, ti spingono avanti quando non hai forza. Il Centro Don Gnocchi è un luogo dove cura e amore guidano ogni gesto e fanno la differenza nella vita di ogni paziente».
Le parole di Stefania, dei genitori di Ambra e di Dolores sono uno specchio, un richiamo e una conferma del cammino che la Fondazione Don Gnocchi percorre da sempre. Un’ala prestata, un pasto condiviso, una fiducia ritrovata, un passo che torna possibile. In queste testimonianze c’è la missione di un’opera dove cura significa accoglienza, dove professionalità e umanità coniugate con la scienza e l’innovazione tecnologica si dimostrano capaci di consolare e sostenere, restituire autonomia e dignità e regalare quella speranza che fa rinascere.
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