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di Vincenzo Barbante
presidente Fondazione Don Gnocchi
«In questo tormentoso periodo della nostra storia, caratterizzato da guerre e sommovimenti sociali di proporzioni ciclopiche e di violenza tellurica, qualche cosa di grande muore e inesorabilmente tramonta; ma pure qualche cosa nasce di profondamente nuovo e gaudioso. Il mondo è nei dolori del parto e sta generando un ordine nuovo: le sue strutture economiche, politiche, sociali, culturali e religiose sono tutte travagliate da questa faticosa generazione». (Carlo Gnocchi, Restaurazione della persona umana, 1946)
Ho letto e riletto questo testo di don Carlo. È una pagina intensa che naturalmente fa riflettere. Rappresenta un invito a guardare e considerare gli accadimenti del nostro tempo da possibili altri punti di vista.
Certo non intende cancellare le violenze e le sofferenze provocate dalle guerre, né ignorare i drammi provocati dalle tensioni sociali, quelle che generano povertà, emarginazione ed esodi forzati di popoli per terra e per mare, né tantomeno trascurare le disuguaglianze prodotte da uno sfruttamento incosciente di uomini e natura. Con le sue parole don Carlo formula un invito a non arrendersi, presi da un sentimento di rassegnazione e nemmeno a reagire con violenza, quanto a rientrare in sé stessi, pensare per provare a scorgere i segnali di un’alba che certamente verrà e disporsi a divenire protagonisti operosi del cambiamento.
Sono parole di incoraggiamento che scaturiscono, e lo possiamo comprendere, da una profonda fede in Dio. Conosciamo la storia di don Carlo e i travagli che ha sperimentato. Il suo ministero sacerdotale ha conosciuto i giorni difficili della guerra con tutto il suo carico di sofferenza e desolazione a cui sono seguiti quelli della rinascita dopo il conflitto. Allora la solidarietà verso i piccoli, orfani e mutilati, grazie al suo infaticabile impegno ha trovato spazio nel cuore dell’Italia ferita, testimoniando come questo valore potesse rappresentare una possibile via per ricostruire il Paese.
Sono parole di speranza di chi non rinuncia a offrire il proprio contributo per realizzare il legittimo desiderio della comunità mondiale di una pace durevole e di un nuovo ordine internazionale.
Don Carlo assistendo i suoi “piccoli” parlava di “restaurazione della persona umana”, ma aveva in mente anche quella dell’intera umanità, da promuovere spronando le coscienze degli uomini del suo tempo.
Oggi come allora questo disegno attende di essere portato a compimento. Il bene, la pace, la giustizia hanno bisogno della speranza e di uomini disponibili a dare un volto storico alla speranza confidando in Dio e nel suo amore per l’uomo.
Nel Giubileo indetto da Papa Francesco, tutti i credenti (e non solo loro) sono stati chiamati a mettersi in cammino come “pellegrini di speranza”, a varcare la Porta Santa, quella di San Pietro o dovunque nel mondo come indicato dalle Chiese locali. Per quanti credono, varcare quella soglia rappresenta un passo molto significativo di riconoscimento di quella verità troppo spesso dimenticata: siamo semplicemente uomini e donne creati e amati da Dio, bisognosi della sua misericordia, donati come fratelli gli uni agli altri, spalancati all’orizzonte dell’eternità.
Si badi bene, però, che il Giubileo è sì un evento promosso in ambito religioso, ma comporta conseguenze rilevanti di alto valore morale in quanto chiede poi di tradursi in scelte storiche personali e collettive, e quindi sociali e politiche. Non si tratta di offrire d’ora in poi una candela accesa in più, quanto di accendere i cuori e appassionare l’umanità a nuove prospettive concrete di convivenza e di crescita. Non saranno certo le azioni portate avanti attualmente dai “grandi” che ora governano la nostra fragile terra, con i loro dazi e contro-dazi, missili e droni, muri e deportazioni, sussidi e mancette, non saranno loro, dicevo, a realizzare quel nuovo ordine mondiale in cui “misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno” come recita il salmo 85.
È possibile custodire operosamente ogni giorno questo desiderio solo coltivando la speranza, mantenendo viva la speranza. E questa, come detto, ha bisogno della fede, della fede in Dio, Padre di tutti.
Come primo passo: «È necessario, quindi, porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza. Ma i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza». (Bolla di Indizione del Giubileo 2025, Spes non confundit, 7).
In secondo luogo, a opere come la nostra Fondazione è affidata la missione di mostrare attraverso un servizio che non sia solo la semplice offerta di trattamenti socio-sanitari (per quanto qualificati), ma l’accoglienza e la condivisione dell’esperienza della fragilità e della malattia, che il bene è possibile sempre e può trovare spazio in cui fiorire anche nei momenti più difficili.
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