Medico neurologo, docente universitaria e donna di grande... (Leggi tutto)
Accanto alla ricerca sostenuta da università o multinazionali, c’è quella che con meno mezzi, ma non minore determinazione, opera per lenire la sofferenza o riprendersi da traumi anche gravi. Una ricerca che trasmette il messaggio silenzioso ma potente della solidarietà: nessuno, nel dolore, deve sentirsi solo. Lo sottolinea il presidente della Fondazione Don Gnocchi, don Vincenzo Barbante, nell’editoriale del nuovo numero della rivista Missione Uomo - in distribuzione in questi giorni - che dedica il focus all’efficace abbraccio tra scienza e filantropia. Tra gli altri approfondimenti, i servizi "Don Gnocchi" per i pazienti con sclerosi multipla e Parkinson e alcune innovative ricerche in riabilitazione cardiologica. Di seguito, l’editoriale del presidente.
«Il dolore degli innocenti, nella misteriosa economia cristiana, è anche la manifestazione delle opere di Dio e di quelle dell’uomo: opere di scienza, di pietà, di amore e di carità». Così scriveva don Carlo nella sua opera “Pedagogia del dolore innocente”, nel 1956.
Sono parole sofferte che inducono a riflettere su una possibile interpretazione di quello che nella storia dell’umanità rappresenta da sempre uno degli interrogativi più profondi: il dramma del dolore innocente. Un dolore che si rende presente in forme molteplici e solleva un “perché?” che scuote le coscienze attraversando tutte le epoche, tutte le latitudini. Conosciamo bene la fragilità connessa a patologie o varianti genetiche che già dalla nascita rendono manifesti volti originali e singolari dell’umano (come se non lo fossimo tutti “singolari e originali”) segnati dall’esistenza di particolari sofferenze non solo fisiche, ma anche morali e sociali. C’è poi la fragilità derivante da traumi o ferite che spesso comportano un dolore o prove altrettanto gravi. A queste condizioni originarie o accidentali, si aggiungono le sofferenze conseguenti alle guerre o, comunque sia, alla volontà di fare del male o di prevaricare, cui si aggiungono il delitto più ipocrita di tutti: l’indifferenza. Sfruttamento, miseria, fame, mancanza di cure, ignoranza producono effetti inconcepibili e insensati sotto gli occhi di tutti.
Don Carlo affronta questo tema ricordando un passo del Vangelo di Giovanni: «Maestro -domandarono i discepoli alla vista del cieco nato - chi ha la colpa della sua cecità? Lui o i suoi genitori?». «Non è colpa sua né dei suoi genitori - rispose Gesù ridonandogli miracolosamente la vista - ma è perché si manifestino in lui le opere di Dio». (Gv 9,1).
«Nella misteriosa economia di Dio del cristianesimo - riprende don Carlo -, il dolore degli innocenti è dunque permesso perché siano manifestate le opere di Dio e quelle degli uomini: l’amoroso e inesausto travaglio della scienza; le opere multiformi dell’umana solidarietà; i prodigi della carità soprannaturale».
Non è forse questa la sede per una riflessione approfondita sul tema appena introdotto e superficialmente abbozzato. Tuttavia, ritengo di grande attualità riprendere la provocazione insita in queste parole. Per un Ente come il nostro, per la Chiesa e per ogni uomo di buona volontà risuona il grido, a volte forte, a volte singolarmente muto, di questo dolore, che interpella le coscienze e attende solidarietà, conforto, speranza e un po’ di sollievo.
Dell’assistenza, così necessaria e urgente, abbiamo parlato più volte. Oggi vorrei soffermarmi su una manifestazione originale e particolare della “prossimità” al dolore innocente. Ultima frontiera del mito del progresso, sollecitata, anzi direi incalzata dallo sviluppo digitale e dell’intelligenza artificiale, ecco l’universo della ricerca scientifica nella quale si consuma il citato “amoroso e inesausto travaglio della scienza”. Naturalmente parlo della ricerca scientifica sanitaria e sociosanitaria che vede anche la Fondazione Don Gnocchi impegnata in prima linea in particolare nell’ambito riabilitativo.
Da Pasteur a Levi Montalcini, da Fleming a Curie, da Ippocrate a Nightingale, generazioni di uomini e donne hanno impegnato le loro energie e tutta la vita a esaltare con la ricerca le potenzialità del proprio intelletto per trovare cure e rimedi alla fragilità e al dolore. In questa impresa, straordinari esponenti dell’umanità hanno consumato il proprio tempo impiegando capacità, costanza, determinazione, rigore metodologico nell’adozione di protocolli, procedure per la raccolta e la valutazione di dati. Sì, nel tempo, ovvero nello scorrere di lunghi anni intuizioni, esperienze e fatiche hanno generato sapere e cure, trasformando speranze in realtà.
Oggi credo che sia ragionevolmente tramontata l’illusione della possibilità di un potere assoluto dell’uomo sulla natura. L’uomo, piuttosto, è chiamato a convivere con la propria naturale fragilità, a comprenderne il significato e a valorizzarne l’esperienza. In questo itinerario che da sempre l’attende potrà scoprire regole universali e riflettere con stupore su un dato originario, ossia che la fragilità è caratteristica non solo propria dell’antropologia umana, ma delle stelle e di tutto l’universo e che il genio che ci è dato rappresenta qualcosa di singolarmente originale e il suo buon uso ha uno scopo del tutto particolare. In questa espressione straordinaria di don Carlo scrutiamo come “l’amoroso e inesausto travaglio della scienza”, se libero da interessi meramente speculativi, possa rivelarsi qualcosa di bello e di grande, un’occasione di carità “ispirata”, generosa, gratuita, attraverso la quale l’uomo può rendersi protagonista di qualcosa di indicibilmente grande: affrontare il male, scoprire un rimedio, svelare e offrire una possibilità di bene.
C’è una ricerca scientifica, oltre che sostenuta da grandi e prestigiose facoltà di medicina o dalle multinazionali della farmaceutica, che anche con meno mezzi, ma non minore entusiasmo e determinazione, opera quotidianamente in rete per cercare di lenire la sofferenza, consentire di recuperare l’autonomia persa o la possibilità di riprendersi da traumi gravi, di poter vivere una vita normale o, comunque, con una qualità accettabile. Ebbene, questa ricerca trasmette un messaggio spesso nascosto, silenzioso, ma potente, quello della solidarietà, perché nessuno nel dolore si possa sentire solo o dimenticato.
La nostra Fondazione responsabilmente partecipa alla sfida di servire il bene facendo ricerca scientifica e come IRCCS, cioè Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, soprattutto nell’ambito della riabilitazione svolge da decenni un ruolo da protagonista, in rete con altri soggetti qualificati, per garantire che la propria esperienza di cura possa diventare strumento utile per incrementare conoscenze e far progredire procedure e strumenti a disposizione delle persone fragili.
Tecnologie all’avanguardia, dalla robotica all’Intelligenza Artificiale e formazione adeguata del personale possono risultare utili contributi in questo percorso che vede sempre al centro l’uomo come operatore e come destinatario per lo sviluppo di un modello di assistenza atteso che sia sempre più personalizzato, predittivo, preventivo e partecipativo.
In questo orizzonte la ricerca scientifica va promossa e sostenuta perché possa corrispondere a quella vocazione che il dolore innocente dischiude, ossia rendere manifesta quella prossimità che conforta e dà sollievo, perché del dolore si fa carico amando operosamente.
don Vincenzo Barbante
presidente della Fondazione Don Gnocchi
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