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di Vincenzo Barbante
presidente Fondazione Don Gnocchi
Che nel mondo ci siano tante cose che non vanno può essere una considerazione scontata da dire e forse anche un po’ retorica. Costanti sono gli appelli del Santo Padre a reagire, a cambiare le cose, a ricordarci che l’umanità è una sola famiglia e che siamo chiamati a prenderci carico soprattutto dei fratelli e delle sorelle più deboli. La sua voce risuona quasi isolata a difesa di tutti i “piccoli” della terra, vittime troppo spesso di ideologie e interessi economici e politici capaci solo di creare muri e contrapposizioni, che producono ulteriori povertà e sofferenze.
Anche le guerre, sia quelle che quotidianamente riempiono le nostre cronache che quelle dimenticate, ma non meno drammatiche, ne sono una conseguenza. Che dire poi della sorte di milioni di uomini e donne in fuga dalla loro terra che chiedono solo di poter sopravvivere rischiando quel poco che ancora gli resta: la speranza.
Il panorama delle reazioni a questo stato di cose vedono contrapporsi, in Paesi sviluppati come il nostro, paura, scetticismo e rassegnazione. La paura, su cui speculano in molti, di vedere compromesso il proprio benessere; lo scetticismo di chi vorrebbe che le cose andassero in modo diverso, ma ormai non sa più a chi credere, di chi fidarsi; la rassegnazione, di chi racimola giorno dopo giorno quel tanto di bene che basta per andare avanti.
Eppure, cambiare le cose è ancora possibile. Si può ancora scommettere sull’uomo e provare a costruire una convivenza che sia davvero tale e che offra opportunità per tutti. Rinunciare al cambiamento non può e non deve essere una scelta. Non è lecito a nessuno lasciare andare avanti le cose come vanno e non provarci significa esserne comunque responsabili e, usando una parola grossa, complici.
Ci sono esperienze che vanno controcorrente, magari circoscritte, spesso taciute dai media, frutto di una coraggiosa e testarda volontà di non arrendersi o restare indifferenti a quanto accade. Occorre essere onesti, prima di tutto con se stessi, e voler vedere il bene che comunque molti operano e concorrere al cambiamento. Chi fa il bene oggi, non va considerato un ingenuo o un eroe, ma uno che ha scelto di dare davvero senso e valore alla propria vita. Come diceva nel secolo scorso un famoso teologo, Hans Urs von Balthasar: «Solo l’amore è credibile». I segni, le opportunità ci sono, in Italia e non solo: occorre avere il coraggio di coglierli e di mettersi in gioco.
Don Vincenzo Barbante e - a fianco - il ponte di Mostar, oggi simbolo di riconciliazione e solidarietà
Scrivo queste righe da Mostar, in Bosnia Erzegovina, dove da poche ore si è concluso un importante evento promosso dal servizio della Fondazione Don Gnocchi per le attività all’estero in collaborazione con la locale università sul tema “La cura del bambino con disabilità: un approccio interdisciplinare nella riabilitazione”. Sono stato particolarmente contento di partecipare a questa iniziativa non solo per la ricchezza dei contenuti emersi, ma per lo spirito con cui le relatrici e i relatori hanno condiviso con i giovani studenti e i professionisti di Mostar le competenze acquisite nel tempo a servizio dei bambini con disabilità.
La naturalezza, l’originalità e la coralità degli interventi offerti hanno permesso ai partecipanti di cogliere non solo l’alto livello di professionalità maturato in anni di attività, ma soprattutto lo spirito e la passione di un servizio dedicato ai piccoli fragili e alle loro famiglie che giorno dopo giorno si è fatto “sapere” costruito pazientemente in una stretta interazione fra le varie figure professionali.
Nel corso dei lavori è emersa una testimonianza di gruppo molto apprezzata, nella quale la presa in carico del bambino con disabilità, accolto nella sua singolarità, come persona unica e irripetibile, chiede ascolto, accoglienza, capacità di mettersi in gioco, pazienza, tempi adeguati e una forte capacità di lavorare in équipe, coinvolgendo le famiglie e lasciando sempre il bambino protagonista del percorso di crescita, di apprendimento e di acquisizione di progressive capacità di autonomia e di relazione.
L'inaugurazione del nuovo parco giochi del Centro di Široki Brijeg, a margine dell'evento di Mostar
Tutto questo è accaduto in una città, Mostar appunto, che ci ha accolto con calore e cordialità, nei pressi della quale si trova la località di Široki Brijeg, dove da quasi un ventennio la nostra Fondazione offre il proprio sostegno materiale, formativo e organizzativo, ad una piccola ma importante realtà che si prende cura di bambini con disabilità, la Casa, come loro la chiamano, “Marija Naša Nada” (“Maria nostra speranza”).
In un contesto certamente delicato, segnato dalle profonde ferite della guerra civile e in corso di rimarginazione, questa Casa rappresenta un segno di speranza e di solidarietà e Fondazione è particolarmente onorata di poter offrire il proprio piccolo e apprezzato contributo. Dopo molti decenni, segnati da grandi fatiche la chiesa locale è viva e accompagna le proprie iniziative pastorali con opere di carità a sostegno delle persone in difficoltà con impegno e sacrificio. Accanto ad essa la nostra Fondazione intende offrire una testimonianza di partecipazione e di condivisione al cammino in corso, offrendo, attraverso la propria collaborazione concreta e qualificata, lo spirito e il carisma del Beato don Carlo Gnocchi.
Il volto di ogni uomo e donna, giovane o anziano, segnato dalla malattia o dalla disabilità, bisognoso di assistenza e cura è il volto di Cristo che ci chiama e ci interpella. Per loro si è speso don Carlo. Per loro ha creato l’opera che porta il suo nome. Per loro, con sempre maggiore intensità è chiamata ad adoperarsi, la nostra Fondazione in Italia e all’estero. Sì, non solo in Italia, ma anche all’estero, dove le fatiche di chi è fragile sono spesso incommensurabili. Anche in questi contesti, solo apparentemente lontani, possiamo rendere presente la volontà di don Carlo di essere accanto alla vita sempre, «con l’inesausto travaglio della scienza, con le opere dell’umana solidarietà e nei prodigi della carità soprannaturale».
Una bimba accolta nella struttura di riabilitazione di Široki Brijeg, in Bosnia Erzegovina
Con questa determinazione da anni operiamo in Bosnia, in Ucraina, in Bolivia, in Ecuador e in altri Paesi nel mondo e sono grato ai nostri collaboratori in loco, a chi partecipa ai vari progetti di solidarietà internazionale mettendo a disposizione le proprie competenze, il proprio tempo, a volte recandosi di persona per offrire il proprio contributo umano e professionale, a chi presso Fondazione cura l’attuazione dei vari progetti di cooperazione e assistenza, a quanti sostengono materialmente e moralmente le varie iniziative.
Sono solo piccoli segni, forse, ma irrinunciabili per chi cerca ragioni ed esempi capaci di sostenere la speranza e credere che è possibile un futuro diverso, capace di offrire ad ogni uomo pari dignità, rispetto, opportunità.
Ufficio Stampa Fondazione Don Gnocchi
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