Nella Giornata mondiale, l'innovativo protocollo... (Leggi tutto)
Quando le parole mancano, la tecnologia aiuta a comunicare. In un bar affollato, ordinare un caffè può sembrare il gesto più naturale del mondo. Ma che cosa accade quando le parole non escono, quando un ictus, un trauma cerebrale o semplicemente una barriera linguistica trasformano quella semplice richiesta in un ostacolo insormontabile? È da questa domanda che nasce il progetto di Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) del Centro "S. Maria ai Colli - Presidio Sanitario Ausiliatrice" di Torino, iniziativa singolare e significativa in tema di approccio alla comunicazione nelle strutture sanitarie.

Il progetto - sostenuto dalla Fondazione CRT – è coordinato dalla responsabile di struttura e vicedirettore area nord Ylenia Sacco con il team dei logopedisti e la responsabile del Servizio Infermieristico, Tecnico, Riabilitativo, Educativo, Assistenziale (Sitrea) Paola Taverna. L’obiettivo è quello di riconoscere concretamente la comunicazione come un diritto fondamentale e inalienabile, indipendentemente dalle condizioni fisiche o cognitive della persona.
Le cifre parlano chiaro: oltre 13 mila dei 37.800 pazienti in regime ambulatoriale che accedono ogni anno alle tre strutture torinesi (Centro “S. Maria ai Colli” e ambulatori di via Peyron e strada del Fortino) hanno bisogni comunicativi complessi. A questi si aggiungono i degenti delle unità di riabilitazione neurologica, molti dei quali reduci da gravi cerebrolesioni acquisite. Sono persone che, improvvisamente o progressivamente, si trovano private di uno strumento fondamentale: la capacità di farsi comprendere.
«I nostri sforzi e soprattutto quelli dei nostri pazienti vengono spesso vanificati se i contesti frequentati al di là della dimensione della terapia logopedica non sono accessibili», spiegano le logopediste Paola Re e Silvia Lupo, anime del progetto insieme a un team multidisciplinare che include terapisti occupazionali, infermieri, fisioterapisti e il personale del bar.

Il progetto si articola principalmente in due fasi complementari. La prima, già avviata, prevede l'introduzione di tavole comunicative cartacee nei punti nevralgici delle strutture: gli ambulatori, i reparti di degenza, accettazioni e persino il bar. Questi strumenti, apparentemente semplici, utilizzano simboli grafici e scritte facilitate per permettere a chiunque di esprimere bisogni, desideri ed emozioni.
La seconda fase, più ambiziosa, introduce la tecnologia: nove tablet dotati di software specifici per la CAA sono stati distribuiti strategicamente nelle tre strutture. Non si tratta di semplici device, ma di veri e propri ponti comunicativi progettati "su misura" per ogni specifico ambiente e necessità.
Ciò che rende davvero innovativo questo progetto non è solo la tecnologia in sé, quanto l'approccio sistemico e partecipativo. «Il coinvolgimento attivo dei pazienti a fianco delle logopediste nella creazione delle tavole comunicative - aggiunge Ylenia Sacco - garantisce che le esigenze e le preferenze degli utenti siano rappresentate. È un rovesciamento di prospettiva: non più strumenti calati dall'alto, ma soluzioni co-progettate con chi le utilizzerà davvero». 
La formazione del personale è altrettanto cruciale. Dall'operatore del CUP al fisioterapista, dall'infermiere persino alla barista, tutti sono e verranno coinvolti in un processo di sensibilizzazione che trasforma ogni operatore in un facilitatore della comunicazione.

Il progetto si inserisce in un approccio più ampio che riconosce la "vulnerabilità comunicativa" come una dimensione fondamentale dell'assistenza sanitaria. Non a caso, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità dedica interi articoli al diritto alla comunicazione e all'accessibilità. Comunicare è un bisogno primario: un principio che questo progetto vuole trasformare e declinare in azioni concrete.
L'ambizione del progetto va oltre le tre strutture torinesi. I materiali promozionali, tradotti in diverse lingue ed esposti tramite rollup informativi, non si rivolgono solo ai pazienti e alle loro famiglie, ma a tutta la comunità. L'obiettivo è ispirare altri servizi pubblici, esercizi commerciali e strutture sanitarie ad adottare misure simili.
«Questi strumenti aiuteranno anche chi non ha familiarità con questo tema a riflettere sull'importanza del diritto alla comunicazione di ciascuno», sottolineano i responsabili del progetto. Un effetto moltiplicatore che porta sul territorio spazi più accessibili ed inclusivi a disposizione di pazienti, famiglie e della comunità.
Con una durata di 18 mesi che prevede monitoraggio costante e una implementazione modulare dei dispositivi nei diversi setting dei centri torinesi, il progetto rappresenta una scommessa ambiziosa ma necessaria, in un'epoca in cui l'inclusione non può più essere considerata un'opzione, bensì una scelta portatrice di valore in grado di recepire i bisogni del singolo e li trasformi in risposte innovative e concrete.

Come ricordava il beato don Gnocchi, «…il modo più rapido, più economico e più conclusivo per lo Stato di attuare i propri compiti assistenziali è entrare in stretta e fiduciosa collaborazione con l'iniziativa privata». Oggi, quella collaborazione si estende alla tecnologia, alla ricerca e soprattutto alla volontà di non lasciare indietro nessuno.
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