I TESTIMONI DI SANTITÀ

Il processo di canonizzazione

Nomi noti e persone sconosciute. Racconti solenni ed episodi narrati con la semplicità degli umili. Sfogliando le testimonianze rese nel corso del processo da persone che hanno avuto la fortuna di percorrere un tratto più o meno lungo della propria vita accanto a don Gnocchi, emerge l’identica consapevolezza: quella di aver incontrato un “santo”. Ne riproponiamo alcune.

Nascita, famiglia e primi studi

Don Gnocchi nacque nel 1902. Suo padre era marmista, sua madre sarta. Fu il più giovane di tre fratelli e aveva appena due anni quando il padre morì, a conseguenza della silicosi. La madre vendette il laboratorio e si trasferì a Milano, trovando lavoro per conto altrui: bucato, rammendo, stireria. Quegli anni furono rattristati dalla morte prematura dei suoi fratelli maggiori. Mamma Clementina, inginocchiata presso le spoglie del secondo figlio che vedeva morire, pregò dicendo:
Due dei miei figli li hai già presi, Signore. Il terzo te lo offro io, perché tu lo benedica e lo conservi sempre al tuo servizio".
(da un documento presentato da Giulio Andreotti)

"La famiglia di don Carlo era molto praticante. Trascorse la sua infanzia accanto ai genitori e a una zia… Allora era un ragazzo come tutti gli altri, vivace, allegro, intelligente e birichino".
(Mario Biassoni)

"Nel pensiero serale che dettava ai fanciulli raccolti in chiesa, don Carlo accennava spesso a suo padre, a sua madre, ai suoi fratelli e ai sacrifici che essi avevano fatto, così da incoraggiare i ragazzi nei loro sacrifici".
(Don Ignazio Cavarretta)
 
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Vocazione sacerdotale e seminario

"Conobbi don Carlo durante il seminario. Lui era il Prefetto, trattava bene tutti e tutti lo stimavano sia per la sua intelligenza che per la sua verve che lo spingeva ad aiutare chiunque si trovasse in difficoltà. Era sempre di buon umore e quando gli dicevo: “Ma tu sei sempre allegro?”, mi rispondeva: “Cosa vuoi, la vita bisogna prenderla come viene”.
(Don Angelo Bernareggi)

"Ricordo che il cardinale Colombo mi parlava della loro comune vita seminariale – erano compagni di classe – e mi descriveva don Carlo come un seminarista attivissimo, pieno di interessi per l’educazione, per l’arte, per i giovani e chiaramente entusiasta della vita sacerdotale. Amava il canto, la musica, l’allegria, il gioco con i compagni, pur dimostrando una particolare qualità di raccoglimento nella preghiera, negli esercizi di pietà. In essi si segnalava tra i seminaristi più impegnati e più aperti alla formazione dei maestri spirituali".
(Mons. Ernesto Pisoni)
 
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Ordinazione sacerdotale e primi incarichi

"La sua testa era un vulcano, era difficile trovarlo, tanto era impegnato. Non solo curava la catechesi e l’oratorio, ma assolveva anche agli altri incarichi parrocchiali. Promosse la Sezione Aspiranti, che divenne la più numerosa della Diocesi; fondò l’Associazione Amici dell’Oratorio, che fu una cosa strepitosa perché vi aderirono tutte le famiglie; curò il teatro e il gruppo chierichetti; andava a visitare gli ammalati, non mancava mai al confessionale, entrava nelle case, anche le povere, e cercava di portare anche lì una nota di gioia. Era con tutti socievole, incantava con il suo sorriso e la sua cordialità… E tutto era impostato sulla preghiera".
(Clemente Gironi)

"A San Pietro in Sala Don Carlo era tutto per i giovani. Mai l’ho sentito alzare la voce con alcuno: era severo, ma mai duro. Giocava, bambino tra i bambini, giovane tra i giovani. Fondò la Filodrammatica e la Schola Cantorum. E non abbandonava mai le pratiche religiose: lo vedevo pregare in chiesa a lungo, specialmente dopo la Messa. Attirava i giovani con la bontà e la simpatia, senza mai risparmiarsi".
(Armando Mantovani)

"Don Carlo fu un educatore geniale, unico nel suo genere, che riviveva i metodi tradizionali in modo sempre fresco e nuovo. Era un grande ottimista: con i giovani del Gonzaga era di un’estrema apertura e libertà spirituale, chiaro e severo quando occorreva nella predicazione. Aperto, comprensivo, gioviale, era solito ripetere che i giovani vanno trattati con sommo rispetto, non usando mai ironia e usando frequentemente, per incoraggiarli, della lode. La sua spiritualità era semplice e profonda, tipicamente ambrosiana…".
(Mons. Luigi Villa)
 
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Cappellano militare

"Partì volontario perché partendo i suoi ragazzi non si sentiva di lasciarli e li ha voluti seguire anche in guerra. Leggo dietro il suo crocefisso: “II° liceo scientifico, 2 marzo 1941, Cristo vi accompagni sempre”. È il regalo del crocefisso militare fatto dai suoi ragazzi con attaccata la fotografia della sua mamma…".
(Don Corrado Leonardi)

"In piena sacca, bloccati dai russi, in mezzo alla steppa, io e la gran massa del Quinto Alpini arrancavamo a piedi. A un certo punto vidi davanti a me Don Gnocchi in sella a un cavallo circondato da feriti. Il cavallo gli era stato procurato dagli alpini, che pensavano di sopperire alle sue forze ormai esaurite. Lo sentii gridare imperiosamente: “Ma ci sono feriti che si trascinano a piedi. Tiratemi giù, non voglio questo privilegio!”. Tale era il tono e l’insistenza che fu fatto scendere. Mi è rimasto impresso questo grido di un sacerdote che non voleva un privilegio che altri non possedevano".
(Giuseppe Novello)

"Poco prima dell’inizio della guerra Don Carlo venne a farsi visitare dal primario otorino, il professor Giussani, che gli riscontrò una tonsillite cronica con febbricola. Poteva essere motivo di esonero dal servizio militare. Ma lui non era venuto per esoneri, ma per farsi curare… Lo rividi in Russia, nel gennaio del 1943. Doveva essere il terzo o il quarto giorno della ritirata: eravamo senza viveri e mezzi di sostentamento. Io mi ero procurato formaggio grana e zucchero, arraffati dai magazzini di sostentamento… A un certo punto vidi un uomo accovacciato con il capo chino, sfinito, ai bordi della strada. Gli sollevai il capo e riconobbi Don Carlo: “Se sei tu Don Carlo, che cosa fai qui’”. Mi rispose: “Guarda che fine fanno questi poveri ragazzi…”. Lo rifocillammo con quel poco di zucchero. Rientrava nel quadro tipico di un principio di assideramento, quando in genere la morte bianca sopravviene in modo subdolo e dolce. Trasportato sulla slitta per tutto il giorno, la sera si riprese e raggiunse il Comando di Divisione di cui era cappellano".
(Dott. Rolando Prada)

"Nell’infuriare della battaglia di Nicolajevka vidi don Carlo che osservava quella strage con occhi che ancora ricordo: mi colpì l’intensità di quello sguardo che fissava quella tragedia. Per me la Fondazione Pro Juventute nacque lì…".
(Gaetano Maggi)

"Don Carlo in Russia voleva dire Messa tutti i giorni, nonostante le difficoltà: la temperatura di 30 o 40 gradi sotto zero faceva gelare l’acqua e il vino e rendeva impossibile solo lo stare fermi… Era suggestive anche le confessioni di massa a cui tutti partecipavano… Durante la ritirata lo vidi almeno un paio di volte mentre, durante gli assalti del nemico, senza preoccuparsi della sua vita, senza paura, accorreva presso i soldati caduti, per dare loro i sacramenti, parlare un poco con loro e levar loro gli oggetti personali che aveva promesso di consegnare ai loro cari… Non era solo un cappellano, ma un prete autentico: non faceva tutto quello solo per dovere, ma perchénpartecipava con tutto il suo essere a quel dramma…".
(Luigi Valota)

"Don Carlo vedeva nell’alpino morente Cristo morente in croce e questa riflessione ha aumentato grandemente la sua spiritualità".
(Eugenio Corti)

"Di ritorno dalla Russia don Carlo era certamente diverso. Quel don Carlo allegro, sempre gioioso in mezzo ai ragazzi ora sembrava più crudo, come interiormente dominato dal continuo ricordo dell’esperienza e della sofferenza che aveva visto…".
(Luigia Meroni)
 
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Il dopoguerra

"Posso attestare che Don Carlo partecipò attivamente alla Resistenza, sempre nello spirito di condivisione cristiana dei rischi e delle sofferenze della gente in quel travagliato periodo storico. Mi parlò dei suoi viaggi clandestini in Svizzera per conto dei partigiani e dei suoi rapporti con alcuni giovani studenti poi caduti vittime di quella situazione… Trovavo in lui una eccezionale capacità di essere sempre sacerdote e di avere con naturalezza, senza sforzo, il pensiero sempre fisso negli impegni umani e spirituali del suo sacerdozio…". (Mons. Ernesto Pisoni)

"Ritengo che in don Carlo si sia manifestata virtù eroica nel saper affrontare una situazione di bisogno e di sofferenza quale egli constatò al suo ritorno dalla Russia e mostrò in questo impegno una eroica generosità. Parlo nei suoi confronti di stigmate interiori…".
(Mons. Ernesto Castiglioni)
 

La Fondazione Pro Juventute

"Poco dopo essere statu congedati, incontrai don Carlo a Milano. Saltò giù dalla bicicletta e mi disse: “Sono contento, sono stati dai Falck, ho esposto loro il mio programma per i mutilatini. Mi hanno chiesto di che cosa ho bisogno per mettere insieme questa baracca e Giovanni Falck mi ha assicurato la somma necessaria… Novello, sono felice: domani comincio!".
(Giuseppe Novello)

"Due miei figli, Cesare e Peppino, erano stati dilaniati da un residuato bellico. Appena lo seppe, don Carlo venne a trovarli in ospedale. Di fronte a loro mi disse: “Dopo tanta guerra, ecco che la guerra ricomincia per i bambini. Devo pensare ai figli dei miei soldati…".
(Lelia Guenzani Casnedi)

"Verso questo bambini emergeva continuamente, al di sopra della pur concreta preoccupazione per le loro condizioni di salute, un immenso amore e una immensa pietà per le loro condizioni e per la loro pressoché inevitabile emarginazione".
(Dr. Vitaliano Peduzzi)

"Anche come confessore era eccezionale: sapeva prenderci, formarci, educarci. In particolare, non voleva che ci commiserassero e ci commiserassimo: dovevamo essere considerati e sentirci normali, capaci di fare tutto nonostante il nostro handicap. Ricordo le partite e i giochi cui lui stesso partecipava ad Arosio. Nei rapporti con noi era di una delicatezza e di una sensibilità enorme…".
(Gianluigi Panzeri)

"Nel luglio del 1948 don Carlo condusse i suoi ragazzi a Roma con un treno speciale per l’udienza con Papa Pio XII e con Einaudi e De Gasperi. Quel giorno uno dei mutilatini, Albino Perron, della Valle d’Aosta, privo di entrambe le mani, scrisse su un foglio di carta: “Viva il Papa”. Ricordo lo sguardo che il Santo Padre rivolse a don Carlo: “Nulla manca a chi possiede Gesù e nulla più delle sofferenze e dei mali di ogni giorno ci fa capaci di questo possesso”. Ricordo l’emozione di don Carlo…".
(Don Ignazio Cavarretta)

"Le sue visite nei Centri rallegravano il cuore di tutti. Era una gara avvicinarlo e stringersi al suo fianco era una scena commovente: si sprigionava l’affetto del padre verso i figli di cui conosceva molto bene la storia…".
(Lucia Montrasio)

"Pochissimo era il tempo che don Carlo concedeva al riposo, per quel suo incessante prodigarsi affinchè la solidarietà di pochi divenisse carità dirompente e la sua Opera non avesse mai momenti di buio…".
(Antonina Tea)

"Sì, mi voleva bene, ci voleva bene. Un bene autentico, riflesso dell’amore di Dio".
(Carla Marisa Ghezzi)

"Ricordo che mio padre, che pure allora era comunista, quando mi si presentò la possibilità di essere trasferita vicino a casa non volle, dicendo: “Tu starai qui a Pozzolatico con questo pretaccio, perché ti insegna bene…”".
(Santa Maioli)

"Quando don Carlo veniva a trovarci, avevo l’impressione di un uomo staccato da terra e intorno a lui la gente istintivamente si allargava per fargli strada. Egli si fermava da ognuno di noi, anche se non ricordo nessuna parola in particolare: giovava moltissimo la sua sola presenza".
(Aldo Tuccillo)

"Mi ha insegnato come si ama e come ci si dona a chi ha bisogno. Il suo pregare e lo stare con i bambini era qualcosa di celestiale. Quando c’era lui c’era festa, i bambini era come se vedessero un angelo. Il suo lavoro era solo per servire…".
(Flora Dalla Pozza)

"Talvolta lo interrogavo: “don Gnocchi, ma perché proprio questi bambini così piccoli, così indifesi, devono portare il fardello del dolore nel mondo?”. Rispondeva: “La sofferenza dei bimbi è destinata ad aiutare chi non ha fede, a redimere chi opera il male”.
(Nella Borletti Cosulich)

"Ricordo che durante le partite di calcio non solo vi partecipava, ma anche non voleva che ci si preoccupasse di frenarsi per paura di fare del male ai mutilatini o per compassione di loro. Ai giocatori sani e agli allenatori raccomandava di giocare e di trattare tutti come se fossero normali. Era la via per liberarli dal loro complesso…".
(Antonio Benincasa)

"Mi venne a trovare quand’ero sottosegretario alla presidenza del Consiglio e mi disse: “Questo è l’argomento su cui non ti darò pace”. E mi fece vedere la foto di un bimbo nei cui occhi c’era la guerra…".
(Giulio Andreotti)
 
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La malattia e la morte

"Io credo che egli sia stato sempre cosciente della irreversibilità della sua malattia. Sia la sofferenza fisica, caratterizzata soprattutto dalla mancanza di respiro, sia la sofferenza psicologica, derivante dal sapere che la situazione era irreversibile ma tardava a concludersi, è stata sopportata con assoluta compostezza. Durante la malattia non ho mai notato manifestazioni di ribellione o di insofferenza".
(Prof. Enrico Poli)

"Don Carlo non si è mai lamentato durante la degenza dei dolori, che pure erano intensi. Aveva detto con chiarezza che non desiderava alcun sedativo. Affrontò tutte le sofferenze con pazienza e coraggio costanti. Mi colpì il suo sorriso caritatevole in ogni momento di tregua del dolore. Dimostrò sempre attenzione e delicatezza verso tutti. Nelle nostre conversazioni lasciava trasparire la sua fede. Io ponevo talvolta domande sul senso del dolore innocente: mi rispondeva che la fede, da sola, può dare risposte a tutti questi interrogativi. Questa fede emergeva da tutto il suo essere, né mai io colsi in lui momenti di scoraggiamento o di disperazione". (Dr. Sergio Calò)

"Tra gli episodi più belli dei miei giorni al suo capezzale, ricordo quello accaduto circa venti giorni prima della morte, quando si decise che bisognava dire a Don Carlo la verità. Andai dall’Arcivescovo Montini e glielo chiesi. Egli venne in clinica e stette per circa un’ora con don Carlo. Uscì in lacrime. Io entrai e gli dissi: “Don Carlo, fai piangere anche il tuo vescovo”. Lui mi rispose: “Non piange perché sono io, ma perché sono un prete che muore”.
(Don Giovanni Barbareschi)
 

La donazione delle cornee

"Ricordo quella domenica, le 2 del pomeriggio, suona il telefono. Era una suora della clinica Columbus: “Professore venga subito, don Carlo ha chiesto di lei”. Quando lo vidi, lui giaceva nel letto, sotto la tenda ad ossigeno, il viso esangue, le belle mani stanche e bianche: “Cesare, ti chiedo un grande favore, non negarmelo: fra poche ore io non ci sarò più: prendi i miei occhi e ridona la vista a uno dei miei ragazzi, ne sarei tanto felice. Parti subito per Roma: là nella mia casa c'è da pochi giorni un bel ragazzo biondo e poi forse anche un altro, mi hanno detto che un trapianto di cornee potrebbe farli rivedere: avrei già dovuto parlartene, parti subito, promettimelo, io ti ringrazio. Addio...”. Non dimenticherò mai quegli attimi di stravolgente commozione: non ricordo nemmeno che cosa dissi, so che piangevo e so che promisi... Ricordo che lo baciai in fronte".
(Prof. Cesare Galeazzi)
 

I funerali

"Per i funerali i monsignori del Duomo non li volevano in Duomo. Si impose Montini. Durante il rito, ad un certo punto Montini mi disse: “Io non parlo, fai parlare un bambino”. Fu preso un bambino e fu portato al microfono. Disse: “Prima ti dicevo: Ciao, don Carlo. Ora ti dico: Ciao, San Carlo”. Ci fu un’ovazione. Montini disse: “Molto meglio che abbia parlato un bambino”".
(Don Giovanni Barbareschi)

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